sabato 22 febbraio 2014

Sapore di tacco (Racconto breve)


Fine della serata. Diedi uno sguardo attento e circospetto alla strada, già deserta, e mi accorsi che, a parte un cane che stava orinando nella piccola aiuola di un albero, ero l'unica persona in quel momento, in quella via. C’era una tale quantità di spazzatura che strabordava dai cestini e le enormi masse di cartoni impilati davanti ai negozi impedivano quasi il passaggio sul marciapiedi, per cui dovetti camminare per la strada; evidentemente il camion per la raccolta dei rifiuti, sarebbe passato di lì a poco.  Saranno state le undici di sera, non indossando l’orologio potevo solo presumerlo, dato che lo spettacolo teatrale era da poco terminato. Pareva il coprifuoco e, d’altronde, vivevo in una cittadina di provincia, tutta casa, lavoro e… prostituzione! Si, non era certo facile vivere nella piccola provincia italiana negli anni sessanta, nel periodo di quel 900 voglioso e fomentatore; erano gli anni dei cambiamenti e del bisogno di identità. In quella provincia lombarda padroneggiava una certa casta di perbenisti, gente che non si sa come facesse ad avere sempre in mano le sorti di tutto; detenevano il monopolio della vita lavorativa, culturale. Tutta la vita sociale era nelle loro mani! E questo noi trentenni di quel periodo, lo sapevamo benissimo.

Tirai fuori un fazzoletto per soffiarmi il naso mentre camminavo un po’ assorto, rimirando il cagnolino, che dopo aver pisciato mi osservava curioso, e mi accorsi che mi era caduto in terra il piccolo crocifisso di latta trovato poco prima davanti al teatro presso cui avevo assistito a una recita. Mi chinai svogliato per raccoglierlo, mentre da un abbaino sotto il palazzo, posto lì sul pelo del marciapiede, vidi qualcosa che attirò la mia attenzione. Mi parve di scorgere qualcuno che ballava, o forse stava prendendo lezioni di ballo, c'erano due donne che indossavano scarpe con i tacchi e degli allegri gonnelloni rossi, svolazzanti. E c'era un signore, presumo mio coetaneo, che gesticolava nell’aria con ritmo ben preciso, dentro un paio di pantaloni alla zuava di un colore cangiante quasi fastidioso, stretti in vita, che si appoggiavano ai polpacci magrissimi sotto cui sfavillavano due calze color panna. Niente meno!

Mi sembrava tutto così fuori luogo rispetto alla strada, deserta. Nel frattempo notai che due netturbini, stavano raccogliendo l’immondizia, e un camion avanzava lentamente la sua corsa emanando effluvi tutt’altro che primaverili. Non riuscivo a vedere bene a causa del buio, allora misi gli occhiali e mi parve di notare che gli abiti dei netturbini non erano quelli soliti di lavoro. Niente tute, guanti da lavoro o cappellini gialli e patacche di unto ma pantaloni,  camicia e berretto trendy. “Ma come”, dissi a voce alta appoggiando le mani ai fianchi, “non è ancora Carnevale”!
Rimasi qualche secondo attonito con lo sguardo perso a immaginare, mi chiedevo se fosse la sera dei matti; poi, senza alcun pensiero, posi lo sguardo sul  dorso della mia mano sinistra e mi accorsi che era solcata da due strane righe che poco prima non avevo visto. Non ci pensai troppo perché non sanguinavano, credetti che erano i segni delle inferriate a cui ero appoggiato. Mi rigirai verso la stanzetta e vidi, particolare non trascurabile, la camicia gialla a pois neri e il farfallino bianco del direttore. Mi soffermai sulla sua pettinatura, un po' alla Rudy, Rodolfo Valentino, con la riga marcatissima sulla destra, da cui sparava un ciuffo di capelli neri evidentemente mal pettinato. C'erano altri due tizi che si muovevano a tempo e indossavano scarpe e vestiti sobri, dando la mano alle signore che danzavano feline, con lo sguardo altero e il viso inclinato a nord ovest. Presumibilmente si trattava di ballerini. Mi colpì il fatto che non c'erano accese luci a giorno, ma tutto si svolgeva in una penombra quasi malandrina e una luce fioca ambrata, tutto intorno creava un'atmosfera particolare. Sentivo benissimo un vecchio tango argentino che ritmava nell'aria alcuni accordi e il suono di un bandoneon, mi piacque subito e anzi mi chinai ancor di più sulle gambe, sentendo in un primo momento il dolore dei legamenti, di sicuro infiammati dal camminare della giornata e dall'operazione subita alle gambe un mese prima. Cominciava a piovigginare una acquerella insignificante ma continua. Il camion aveva ormai girato l’angolo, sentivo ancora il vociare in lontananza di quegli uomini, e il rumore lontano dei bidoni sbattuti contro le lamiere del camion, per svuotarli del tutto dai detriti attaccati sul fondo. I vicoli erano tornati ad essere percorribili e due coppiette, passeggiandomi a fianco, mi osservarono incuriosite; beh, ero messo effettivamente in una posizione strana! Il cane era ancora li, seduto su se stesso, sotto l’acqua, lo avevo conquistato, con i suoi occhi scuri non mi mollava. In quel momento avvertii il bisogno di far pipì, complice la pioggia diventata invadente, e il fatto che non avessi l’ombrello. Ma stetti ancora a guardare perché la situazione era interessante, finché il capo mi notò e, un po' seccato, mi fece un cenno esplicito con la mano, come volermi invitare ad andarmene. Io risposi con una smorfia leggera e tutt'altro che maleducata, come per insinuare semplice curiosità e nient'altro; lì appollaiato nel mio metro quadro non facevo male a nessuno, non parlavo e non respiravo quasi.

Passarono dieci buoni minuti e il coreografo, fermando le danze dopo un mio eccessivo starnuto versato interamente sul vetro della finestra leggermente aperta, mi si avvicinò e, imbizzarrito, mi chiese senza mezzi termini di andare via, che li si stava lavorando e io li deconcentravo. Fui stupito lo fissai come per sfida, con una gran voglia di sputargli in faccia ma avrei colpito il vetro. Sinceramente non capivo il problema e, anzi, ero interessato all'evolversi della serata che mi stava piacendo. Rudy, prese questo mio atteggiamento come una sfida, borbottò alcune parole in un dialetto che non capii, pur parlandolo io, e tirando la tendina della stanza oscurò quel quadro e quelle scene. In quel mentre sentii chiudere, sbattendo, la finestrella e vidi accendersi la luce nella stanza. Per quella sera, dovetti smettere di origliare.

Ma solo perché, nel frattempo, i due netturbini avevano finito il giro del quartiere e avevano preso il loro posto: a fianco delle due ballerine! Arrivarono correndo, puntualissimi alla stanza dove si stava provando, era mezzanotte appena suonata, l’ora dell’appuntamento. Gli altri due ballerini, semplici sostituzioni, lasciarono a loro il posto. Cominciarono in quel momento le danze, quelle vere, mentre dal vetro, scorsi Rudy uscire dalla stanza, con quell’aria da saccente. Era diretto verso me, perché lo vidi girare il caseggiato che stava per arrivare con passo veloce; io ero ancora lì abbassato sulle mie ginocchia ormai quasi logore, eccolo mi era vicino. Cominciai ad alzarmi, lentamente per non strapparmi i legamenti e nel mentre lo sentii:
“Dottore”, mi disse con aria concitata e molto servile, “signor regista, guardi, le ho preparato già tutto io, come mi ha chiesto stamattina: ci sono i quattro ballerini, le musiche giuste, il personale, il macchinista e le comparse che servono per le sostituzioni durante le scene. E’ tutto pronto per cominciare il suo film sulla musica sudamericana. Dottore, si ricordi che alle quattro stanotte, arriverà il produttore esecutivo, per assistere ad alcune scene e per parlare con lei. Mi ha chiamato pochi minuti fa e smania letteralmente dalla voglia di incontrarla”.
Poi Rudy, avvicinandosi di molto mi disse bisbigliando in un orecchio:
“Guardi, signor regista che il produttore, il Dottor Leonardi, mi ha confidato di essere un suo grande ammiratore e ci terrebbe ad iniziare una bella collaborazione con lei. Lei sa che Leonardi è uno degli uomini più ricchi d’Italia, vero”?
Scherzi del destino o della mente?
Ora, poteva cominciare lo spettacolo.
E mi ritrovai, nel giro di cinque minuti, seduto sulla mia sedia, con il mio nome, a dirigere quel film.
Ciack, si gira!

(Copyright © 2013 Pier Mazzoleni, tutti i diritti sono riservati. È consentita la riproduzione parziale o totale solo se viene citato l'autore).


Nota dell’autore.
Il racconto breve è stato scritto in ottobre 2013.
Ogni domanda, scaturita da questa lettura, è lecita. Forse rimarrà senza risposta, in questo capitolo.






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