Fine della serata. Diedi uno sguardo attento e
circospetto alla strada, già deserta, e mi accorsi che, a parte un cane che
stava orinando nella piccola aiuola di un albero, ero l'unica persona in quel
momento, in quella via. C’era una tale quantità di spazzatura che strabordava
dai cestini e le enormi masse di cartoni impilati davanti ai negozi impedivano
quasi il passaggio sul marciapiedi, per cui dovetti camminare per la strada;
evidentemente il camion per la raccolta dei rifiuti, sarebbe passato di lì a
poco. Saranno state le undici di sera,
non indossando l’orologio potevo solo presumerlo, dato che lo spettacolo
teatrale era da poco terminato. Pareva il coprifuoco e, d’altronde, vivevo in
una cittadina di provincia, tutta casa, lavoro e… prostituzione! Si, non era
certo facile vivere nella piccola provincia italiana negli anni sessanta, nel
periodo di quel 900 voglioso e
fomentatore; erano gli anni dei cambiamenti e del bisogno di identità. In
quella provincia lombarda padroneggiava una certa casta di perbenisti, gente che non si sa come facesse ad avere
sempre in mano le sorti di tutto; detenevano il monopolio della vita
lavorativa, culturale. Tutta la vita sociale era nelle loro mani! E questo noi trentenni di quel periodo, lo sapevamo benissimo.
Tirai fuori un fazzoletto per soffiarmi il naso mentre
camminavo un po’ assorto, rimirando il cagnolino, che dopo aver pisciato mi
osservava curioso, e mi accorsi che mi era caduto in terra il piccolo
crocifisso di latta trovato poco prima davanti al teatro presso cui avevo
assistito a una recita. Mi chinai svogliato per raccoglierlo, mentre da un abbaino
sotto il palazzo, posto lì sul pelo del marciapiede, vidi qualcosa che attirò
la mia attenzione. Mi parve di scorgere qualcuno che ballava, o forse stava
prendendo lezioni di ballo, c'erano due donne che indossavano scarpe con i
tacchi e degli allegri gonnelloni rossi, svolazzanti. E c'era un signore,
presumo mio coetaneo, che gesticolava nell’aria con ritmo ben preciso, dentro un
paio di pantaloni alla zuava di un colore cangiante quasi fastidioso, stretti
in vita, che si appoggiavano ai polpacci magrissimi sotto cui sfavillavano due
calze color panna. Niente meno!
Mi sembrava tutto così fuori luogo rispetto alla
strada, deserta. Nel frattempo notai che due netturbini, stavano raccogliendo
l’immondizia, e un camion avanzava lentamente la sua corsa emanando effluvi
tutt’altro che primaverili. Non riuscivo a vedere bene a causa del buio, allora
misi gli occhiali e mi parve di notare che gli abiti dei netturbini non erano
quelli soliti di lavoro. Niente tute, guanti da lavoro o cappellini gialli e
patacche di unto ma pantaloni, camicia e
berretto trendy. “Ma come”, dissi a voce alta appoggiando le mani ai fianchi,
“non è ancora Carnevale”!
Rimasi qualche secondo attonito con lo sguardo perso a
immaginare, mi chiedevo se fosse la sera dei matti; poi, senza alcun pensiero,
posi lo sguardo sul dorso della mia mano
sinistra e mi accorsi che era solcata da due strane righe che poco prima non
avevo visto. Non ci pensai troppo perché non sanguinavano, credetti che erano i
segni delle inferriate a cui ero appoggiato. Mi rigirai verso la stanzetta e
vidi, particolare non trascurabile, la camicia gialla a pois neri e il
farfallino bianco del direttore. Mi
soffermai sulla sua pettinatura, un po' alla Rudy, Rodolfo Valentino, con la riga marcatissima sulla destra, da
cui sparava un ciuffo di capelli neri evidentemente mal pettinato. C'erano
altri due tizi che si muovevano a tempo e indossavano scarpe e vestiti sobri, dando
la mano alle signore che danzavano feline, con lo sguardo altero e il viso
inclinato a nord ovest. Presumibilmente si trattava di ballerini. Mi colpì il
fatto che non c'erano accese luci a giorno, ma tutto si svolgeva in una
penombra quasi malandrina e una luce fioca ambrata, tutto intorno creava
un'atmosfera particolare. Sentivo benissimo un vecchio tango argentino che ritmava
nell'aria alcuni accordi e il suono di un bandoneon, mi piacque subito e anzi
mi chinai ancor di più sulle gambe, sentendo in un primo momento il dolore dei
legamenti, di sicuro infiammati dal camminare della giornata e dall'operazione
subita alle gambe un mese prima. Cominciava a piovigginare una acquerella
insignificante ma continua. Il camion aveva ormai girato l’angolo, sentivo ancora
il vociare in lontananza di quegli uomini, e il rumore lontano dei bidoni
sbattuti contro le lamiere del camion, per svuotarli del tutto dai detriti
attaccati sul fondo. I vicoli erano tornati ad essere percorribili e due
coppiette, passeggiandomi a fianco, mi osservarono incuriosite; beh, ero messo
effettivamente in una posizione strana! Il cane era ancora li, seduto su se
stesso, sotto l’acqua, lo avevo conquistato, con i suoi occhi scuri non mi
mollava. In quel momento avvertii il bisogno di far pipì, complice la pioggia
diventata invadente, e il fatto che non avessi l’ombrello. Ma stetti ancora a
guardare perché la situazione era interessante, finché il capo mi notò e, un po' seccato, mi fece un cenno esplicito con la
mano, come volermi invitare ad andarmene. Io risposi con una smorfia leggera e
tutt'altro che maleducata, come per insinuare semplice curiosità e nient'altro;
lì appollaiato nel mio metro quadro non facevo male a nessuno, non parlavo e
non respiravo quasi.
Passarono dieci buoni minuti e il coreografo, fermando
le danze dopo un mio eccessivo starnuto versato interamente sul vetro della
finestra leggermente aperta, mi si avvicinò e, imbizzarrito, mi chiese senza
mezzi termini di andare via, che li si stava lavorando e io li deconcentravo. Fui
stupito lo fissai come per sfida, con una gran voglia di sputargli in faccia
ma avrei colpito il vetro. Sinceramente non capivo il problema e, anzi, ero interessato
all'evolversi della serata che mi stava piacendo. Rudy, prese questo mio atteggiamento come una sfida, borbottò
alcune parole in un dialetto che non capii, pur parlandolo io, e tirando la tendina
della stanza oscurò quel quadro e quelle scene. In quel mentre sentii chiudere,
sbattendo, la finestrella e vidi accendersi la luce nella stanza. Per quella
sera, dovetti smettere di origliare.
Ma solo perché, nel frattempo, i due netturbini
avevano finito il giro del quartiere e avevano preso il loro posto: a fianco
delle due ballerine! Arrivarono correndo, puntualissimi alla stanza dove si
stava provando, era mezzanotte appena suonata, l’ora dell’appuntamento. Gli
altri due ballerini, semplici sostituzioni, lasciarono a loro il posto.
Cominciarono in quel momento le danze, quelle vere, mentre dal vetro, scorsi Rudy uscire dalla stanza, con quell’aria
da saccente. Era diretto verso me, perché lo vidi girare il caseggiato che
stava per arrivare con passo veloce; io ero ancora lì abbassato sulle mie
ginocchia ormai quasi logore, eccolo mi era vicino. Cominciai ad alzarmi, lentamente
per non strapparmi i legamenti e nel
mentre lo sentii:
“Dottore”, mi disse con aria concitata e molto
servile, “signor regista, guardi, le ho preparato già tutto io, come mi ha
chiesto stamattina: ci sono i quattro ballerini, le musiche giuste, il
personale, il macchinista e le comparse che servono per le sostituzioni durante
le scene. E’ tutto pronto per cominciare il suo film sulla musica sudamericana.
Dottore, si ricordi che alle quattro stanotte, arriverà il produttore
esecutivo, per assistere ad alcune scene e per parlare con lei. Mi ha chiamato
pochi minuti fa e smania letteralmente dalla voglia di incontrarla”.
Poi Rudy, avvicinandosi di molto mi disse
bisbigliando in un orecchio:
“Guardi, signor regista che il produttore, il Dottor
Leonardi, mi ha confidato di essere un suo grande ammiratore e ci terrebbe ad
iniziare una bella collaborazione con lei. Lei sa che Leonardi è uno degli
uomini più ricchi d’Italia, vero”?
Scherzi del destino o della mente?
Ora, poteva cominciare lo spettacolo.
E mi ritrovai, nel giro di cinque minuti, seduto sulla
mia sedia, con il mio nome, a dirigere quel film.
Ciack, si gira!
(Copyright
© 2013 Pier Mazzoleni, tutti i diritti sono riservati. È consentita la riproduzione parziale o totale solo se viene citato l'autore).
Nota dell’autore.
Il racconto breve è stato scritto in ottobre 2013.
Ogni domanda, scaturita da questa
lettura, è lecita. Forse rimarrà senza risposta, in questo capitolo.
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